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Scafati. Ipotesi “Dissesto finanziario”, ecco cos’è e cosa prevede.

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Nelle ultime ore, a Scafati, al centro del dibattito pubblico vi è l’ipotesi di dichiarazione di dissesto finanziario per il Comune. Una eventualità che per alcuni sarebbe inevitabile, vista una nota inviata dalla Corte dei Conti che metterebbe in discussione la gestione delle casse comunali degli ultimi anni. Il documento, però, non è completo perché mancante dell’analisi definitiva dello scorso anno (2023). Ad ogni modo, lo spettro del c.d. “dissesto finanziario” a Scafati non è la prima volta che diventa oggetto di dibattito politico. Negli anni, in più occasioni, esponenti delle varie opposizioni hanno prospettato fosse l’unica soluzione per risanare le casse dell’Ente. Per il momento, però, ciò non è mai avvenuto.

È interessante, dunque, comprendere effettivamente di cosa si tratta. A tal proposito si segnala un importante testo pubblicato dall’Osservatorio Conti Pubblici Italiani, i cui alcuni passaggi si riportano di seguito.

Innanzitutto va detto che, dalla sua istituzione nel 1989, la procedura del dissesto finanziario degli enti locali italiani ha subìto numerose modifiche normative, dall’introduzione di status preventivi, come il predissesto – o riequilibrio finanziario pluriennale – fino alla previsione delle sanzioni per gli amministratori responsabili.  Un ente locale (comuni, province e città metropolitane) si dichiara in dissesto finanziario quando non riesce più a far fronte ai propri debiti con l’autofinanziamento, il che gli impedisce di assolvere alle sue funzioni. Mentre nel settore privato l’insolvenza porta al fallimento e al fermo delle attività, in Italia, come nella maggior parte dei paesi avanzati, si ritiene che questo non possa avvenire per gli enti locali, che non devono interrompere le loro attività. Nel dettaglio, “si ha stato di dissesto finanziario se l’ente non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell’ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità di cui all’articolo 193, nonché con le modalità di cui all’articolo 194 per le fattispecie ivi previste” (Art. 244 del Testo Unico degli Enti Locali). Dal 2012, si è introdotto anche uno status preventivo al dissesto per gli enti locali: il predissesto.

Il dissesto

Per quanto la procedura di dissesto abbia subìto modifiche nel tempo, l’accesso di un ente a questo istituto giuridico è sempre rimasto di natura volontaria, eccetto nel caso in cui l’ente non riesca a svolgere le sue funzioni essenziali, compresa la retribuzione del personale.

Il passo immediatamente successivo alla dichiarazione di dissesto è infatti la nomina di un organo straordinario di liquidazione (tramite decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’Interno) al fine di accertare la massa attiva e passiva dell’ente e separare i compiti e competenze della gestione corrente da quella passata. A seguito della dichiarazione di dissesto, e sino all’emanazione del decreto che sancisce l’ipotesi di “bilancio stabilmente” riequilibrato (da attuarsi entro tre mesi dalla nomina dell’organo, Art. 261 Tuel), sono sospesi i termini per la deliberazione del bilancio (Art. 248 Tuel). L’organo straordinario di liquidazione provvede, pertanto, alla rilevazione della massa passiva, all’acquisizione e gestione dei mezzi finanziari disponibili ai fini del risanamento ed alla liquidazione e pagamento della massa passiva (Art. 252 Tuel).

Con l’approvazione dell’ipotesi di bilancio “stabilmente riequilibrato”, redatta dalla giunta e approvata del Ministero dell’Interno, la legge prevede che l’ente adotti provvedimenti straordinari per un periodo di cinque anni. Il fine di questi provvedimenti è incrementare le entrate e ridurre le spese dell’ente, indirizzandolo su una gestione delle finanze più oculata al fine di evitare il ripetersi del dissesto in futuro e rispettare gli eventuali obblighi debitori assunti per il risanamento. Fra queste misure straordinarie, si cita il ridimensionamento dell’organico amministrativo collocando in disponibilità l’eventuale personale in eccesso (Art. 251 e 259 Tuel).

Conseguenze politiche

La normativa attuale prevede inoltre per gli amministratori di cui fossero accertate le responsabilità del dissesto: fino a dieci anni di interdizione da cariche di assessore, revisore di conti e rappresentante dell’ente locale presso altri enti (che siano istituzioni od organismi pubblici e privati) e incandidabilità alle cariche di sindaci e presidenti di provincia, della stessa durata. Agli stessi soggetti, ove giudicati responsabili, viene imposta una sanzione pecuniaria, incassata direttamente dall’ente in dissesto, pari a minimo di cinque fino a un massimo di venti volte la retribuzione mensile lorda percepita dagli amministratori al momento della violazione. La giurisdizione in materia è in capo alle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti. Le condanne sono state in numero assai ridotto, ma in alcuni casi sono state rilevanti. Una delle condanne più rilevanti ha coinvolto il sindaco e alcuni assessori del Comune di Catania in carica nel periodo 2013-2018, con l’obbligo di risarcimento del Comune e l’interdittiva legale per avere contribuito al verificarsi del dissesto finanziario.

Il predissesto

Il predissesto è stato introdotto nel 2012 e vi hanno ricorso in tutto circa 500 enti. Questo istituto comporta la definizione di un piano di riequilibrio finanziario pluriennale, la cui durata è stabilita in base a due criteri: il rapporto con la popolazione delle passività e della spesa. A legislazione vigente, la durata consentita può andare da un minimo di quattro a un massimo di vent’anni. Anche la dichiarazione di predissesto è volontaria, la sua funzione è puramente preventiva e – in linea teorica – non sarebbe comunque possibile nel caso in cui l’ente non fosse più in grado di assolvere alle sue funzioni primarie o di ripagare i creditori con mutui o entrate proprie: in tal caso entrerebbe in vigore l’istituto del dissesto.

Questo istituto consente anche l’accesso – dopo aver adottato tutti gli altri possibili espedienti – ad un’anticipazione erogata dallo Stato avvalendosi di un fondo rotativo speciale (art. 243- ter del Tuel), il cui orizzonte di restituzione per gli enti è fissato a dieci anni. Di fatto, il predissesto reintroduce ingenti oneri a carico dello Stato che potrebbero indurre azzardo morale nella gestione da parte degli amministratori, date le condizioni di accesso e mantenimento dell’anticipazione. Le anticipazioni previste da questo fondo di rotazione sono infatti elevate: 300 euro per abitante per i comuni e 20 euro per le province e le città metropolitane. Per accedere al fondo di rotazione, un ente deve adottare entro il termine dell’esercizio finanziario alcune misure di riequilibrio, principalmente legate alla riduzione della spesa corrente e al blocco dell’indebitamento. Nello specifico, si deve disporre una riduzione delle spese di personale, da realizzare attraverso l’eliminazione dai fondi per il finanziamento della retribuzione accessoria del personale dirigente.

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