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L’Album Panini 1971/72 riportava in copertina, a sinistra, in cerchi con bordo nero, dall’alto verso il basso, Sandro Mazzola, Gigi Riva, Gianni Rivera, Antonio Juliano e Claudio Sala, ma per me era importantissima anche la figurina in maglia gialla con colletto blè di Franco Bergamaschi, mezzala di punta dell’Hellas Verona, alla quale sostituivo il nome e il ruolo con Salvatore Esposito, ala destra, per poi incollarla sul mio quaderno di appunti, sul quale annotavo scrupolosamente risultati e marcatori della Scafatese.
Era il periodo in cui si apriva il processo per la strage di Piazza Fontana, della quinta vittoria di Eddy Merckx nella Milano-Sanremo e della seconda di Gustavo Thoeni nella Coppa del Mondo di Sci alpino, del premio Oscar a Vittorio De Sica per il film “Il giardino dei Finzi Contini”, tratto dal romanzo di Giorgio Bassani, e dell’ingresso nelle sale cinematografiche del film “Il Padrino”.
C’era anche l’omicidio del Commissario Calabresi e lo scandalo Watergate che avrebbe portato, due anni dopo, alle dimissioni del Presidente in carica, il repubblicano Richard Nixon. Nelle edicole andavano a ruba i fumetti di Topolino (il topo più famoso del mondo, simbolo di coraggio e di onestà), Diabolik (in grado di neutralizzare qualsiasi allarme e di svaligiare le banche più sorvegliate, usando le rapine come arma di disobbedienza civile), Alan Ford (ingenuo, timido e romantico), Il Comandante Mark (in continua lotta, nonostante la sua aria innocente, contro le Giubbe rosse, con la sua tipica esclamazione: “Per tutti i castori dell’Ontario!”), Tex Willer (dallo spirito anarchico e un po’ anticonformista).
Molto richiesti erano anche i Gialli Mondadori, soprattutto quelli delle inchieste di Maigret scritte da Georges Simenon (un vero maestro della letteratura, autore da settecento milioni di copie vendute), con stile secco ed essenziale e con atmosfere e ambientazioni “dense” e affascinanti.
A Sanremo trionfava Nicola Di Bari, con la canzone “I giorni dell’arcobaleno”; alla radio facevano il loro ingresso i disc-jockey mentre la Premiata Forneria Marconi da Milano e il Banco del Mutuo Soccorso da Roma, dominatori della stagione dei concerti, provavano a cimentarsi con il linguaggio del “rock progressivo” che, anche se in maniera complessa, tendeva a rendere popolare la musica classica.
In Tv il calcio era ancora in bianco e nero, con il secondo tempo della partita più importante di Serie A la domenica alle 19:00.
La Scafatese, dopo nove anni in Serie D, dal 1960/61 al 1968/69, aveva subìto una crisi tecnica e dirigenziale spaventosa e senza sbocchi ed era retrocessa consecutivamente, nella più totale confusione, prima in Promozione (allora quinta serie) e poi in Prima Categoria (sesta serie). Anche nel 1971/1972 i canarini erano partiti malissimo, con un solo punto in tre partite; fu a questo punto che l’allenatore-giocatore Francesco Carotenuto, voluto fortemente dal nuovo Presidente Vittorio Vangone, decise di richiamare Guglielmo D’Ambruoso, rifinitore di categoria superiore dal talento puro e dalla classe cristallina.
A giovarsene fu soprattutto Salvatore Esposito, maglia numero sette (sette come le meraviglie del mondo e i colori dell’arcobaleno), ciuffo anni sessanta, fisico agile e scattante, guizzante e sgusciante, tiro risolutivo e definitivo, bravo anche in acrobazia, nello smarcamento e nel dettare il passaggio, una vera spina nel fianco delle difese avversarie; ala destra con licenza di accentrarsi, associava istinto e intuito a un grande senso della rete; quando riusciva a impattare con precisione il pallone, si avvertiva nell’aria il profumo del gol; i suoi piedi erano pennelli e martelli, dipingevano quadri e modellavano sculture, con un’estetica e una semplicità che solo in pochi riescono a coniugare; ogni dettaglio raccontava il suo stile unico di dribblatore e di realizzatore che cambiava le marce e filava via, con passo svelto e ritmo rapido dalle trame coinvolgenti, alla ricerca di nuove frontiere da esplorare.
Giuseppe Gentile, medaglia di bronzo nel salto triplo alle Olimpiadi di Messico 1968 (dopo aver battuto per ben due volte il record mondiale con 17,10 metri e 17,22 metri, in seguito superati prima dal sovietico Viktor Saneev con 17,23 metri, poi dal brasiliano Nélson Prudêncio con 17,27 metri e quindi di nuovo da Saneev con 17,39 metri), divise la sua medaglia in due parti e ne ricostruì due simili, ognuna delle quali formata da una metà originale e da un’altra non originale, e ne regalò una al suo allenatore Luigi Rosati, affermando che “la condivisione è l’esaltazione dell’emozione”.
Salvatore Esposito condivise le sue 18 reti di quell’annata (e le sue 35 complessive in 78 partite) con tutti i tifosi, con tutto lo staff tecnico-societario e con tutti i compagni di quella squadra che, parafrasando Marguerite Yourcenar, era riuscita a “comporre l’armonia tra i piaceri dell’anarchia e i rigori dell’ordine”, 18 reti che, dopo un inizio difficile, contribuirono alla vittoria finale del campionato e a un primo passo di riavvicinamento graduale della Scafatese al calcio che conta.
Erano i giorni dell’arcobaleno: finito l’inverno, tornava il sereno.
Articolo a cura di Guglielmo Formisano.
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