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C’è una torre che compare più volte nell’iconografia di Scafati, la cui immagine, posta sullo stemma del comune fin dal 1816, ci accompagna nelle celebrazioni pubbliche e nei momenti importanti della vita istituzionale.
È la nostra torre, quella che si trovava nello spiazzo antistante il palazzo Meyer, come confermato da uno scavo eseguito negli anni Novanta, in seguito al quale vennero alla luce le fondamenta, successivamente ricoperte.
La torre compare scolpita sul marmo ai lati dell’altare maggiore della Chiesa Madre di Scafati; la si può anche ammirare sul fregio dell’organo della Chiesa e, secondo un documento del 1861, figurava anche sulle riggiole, presso la lapide sepolcrale del presbiterio, purtroppo andate perse. Inoltre, la sua immagine è presente anche sul campanile della Chiesa Madre di Scafati, la cui stessa costruzione voleva rievocare l’antica torre, mantenendone vivo il ricordo nella città.
Esiste anche un modellino con la raffigurazione della torre ai piedi della statua ottocentesca di Santa Barbara, che ricalca il bassorilievo dell’altare maggiore, con base tronco-conica, struttura cilindrica sovrapposta e torretta centrale sovrastante. Compaiono la loggia merlata che sormonta la contro torre e la merlatura della torretta. L’immagine della torre venne perfino usata nel timbro di proprietà dei libri, da parte del Capitano Luigi Fienga (1895-1965), mutilato a un braccio nel corso della prima guerra mondiale e divenuto comandante dei vigili urbani di Scafati.
Come scrive l’indimenticabile Angelo Pesce, studioso appassionato e puntuale della nostra storia, risulta abbastanza strano che nessun artista si sia soffermato, nei secoli, a raffigurare in un dipinto la torre nei suoi dettagli. Oggi ci viene in aiuto lo scavo che ha evidenziato due cortine murarie concentriche, quella della contro torre, di quindici metri, e quella della torretta centrale di cinque metri. Queste dimensioni farebbero ipotizzare un’altezza fra i 25 e i 30 metri. Si ipotizza anche la presenza di un pozzo nell’androne, per l’approvvigionamento d’acqua in caso di assedio. Molto probabilmente il materiale usato per la costruzione della torre era o il tufo grigio di Nocera o la pietra lavica, come si può capire dall’iconografia.
Noi possiamo immaginare i nostri luoghi nel periodo dei cosiddetti “secoli oscuri”, quando la valle del Sarno era ricoperta da una grande foresta che non impedì, nei secoli, un ripopolamento, sia pure esiguo. Un documento del 1271 ci testimonia che l’insieme di Scafati e San Pietro era composto da 87 fuochi, cioè 87 nuclei familiari, per un totale di circa 435 abitanti. In questo periodo esisteva già la torre, che venne eretta prima dell’anno Mille, a difesa degli abitanti dalle minacce saracene, anche con lo scopo di vegliare sul transito fluviale che si effettuava con le scafe, da cui sarebbe derivata una delle denominazioni medievali del fiume: “flumen Scaphati”.
La torre resistette a più riprese nel corso dei secoli successivi anche ad azioni offensive sia con macchine da lancio che, più tardi, con bocche da fuoco. Ma non resistette alla propensione che nel corso della storia ha indotto gli scafatesi a distruggere antiche testimonianze del passato.
“Ai giorni nostri gli Scafatini scioperatamente han permesso l’abbattimento dell’antica torre.”
Così scriveva nel 1810 Alessandro Di Meo, storico napoletano, la cui testimonianza ci permette di datare la distruzione della torre ad opera del Sindaco Giuseppe Cirillo. Nell’affermazione del Di Meo si avverte una non tanto nascosta condanna per la distruzione dello storico monumento. E, nel corso degli anni, ne sarebbero stati demoliti altri, purtroppo, che appartenevano alla nostra storia e che avrebbero potuto costituire testimonianza per le future generazioni.
Prima del 1810, la torre era abbandonata a se stessa, già disabitata, ridotta a un rudere. A Don Diego Fienga, sacerdote di Scafati, si deve la testimonianza secondo la quale la torre fu abbattuta per ordine del Sindaco Giuseppe Cirillo e che i materiali che la componevano furono venduti, per ducati cinquanta, dal Comune a un facoltoso cittadino di Torre Annunziata, il quale se ne avvalse per la costruzione di alcuni suoi mulini. Don Diego Fienga affermò: “la detta torre per lo innanzi serviva di ricovero alle persone miserabili di quel paese ed a qualche avventoriere che vi si portava onde procurarsi il vitto accattonando.”
Scrive il dottore Angelo Pesce:
“Tramontati per sempre i tempi dell’angoscia e del terrore per gli attacchi dei Saraceni, quelli dei duri contrasti tra papi, re, principi e baroni per la supremazia del Meridione… la torre di Scafati aveva esaurito la sua funzione storica e restava lì, vecchia e malandata, espressione di un passato di cui era stata attrice.”
La sua presenza sarebbe stata quella di un edificio carico di anni e di memorie, capace di raccontare storie vere o immaginate, appartenenti a secoli che sono passati carichi di eventi, di vite, di dolori e di gioie.
Articolo a cura di Sebastiano Sabbatino
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