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Scafati. “Quanno nascette Ninno”, le tradizioni storiche delle feste natalizie.

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Il Natale, gli scafatesi lo sentivano già arrivare nelle note degli zampognari per la novena dell’Immacolata, che annunciava già la festa più bella di tutte.

E il Natale lo sentivano arrivare già negli odori delle bucce di mandarini fatte bruciare sul braciere, ‘a vrisera, e nell’odore denso dei dolci natalizi.

Corso Trieste, in particolare, si riempiva del profumo di roccocò e di raffaiuoli, che proveniva dalla pasticceria Cerrato. La vetrina era uno spettacolo meraviglioso, un tripudio di forme e di colori. E di sapori. C’erano i mustacciuoli secchi e quelli imbottiti con nocciole, mandorle, frutta candita e marmellata. Alcuni rettangolari, adornati con zucchero a velo, altri a forme di cuori o di ghirlande. Servivano a rendere ancora più belle le guantiere che i fidanzati usavano regalare alla promessa sposa per le sante feste.

Nella vetrina c’erano le sciuscelle, a forma di carrubi, ricoperte di cioccolato, e i susamielli con il miele e le murzette con le mandorle. E poi i raffaiuoli, secchi o imbottiti con ricotta e pezzettini di cioccolata, le cassatine e… la pasta reale. Al centro, intorno alla cassata napoletana, una corona di dolcetti a forma di datteri, ricoperti di glassa color crema o rosa: era la pasta detta del Divino Amore, la più pregiata.

Già si erano visti, nella vetrina di Giacchino in via Duca d’Aosta, i pastori di creta, messi in fila, gli uni accanto agli altri: la Madonna vicino a San Giuseppe, Benito addormentato vicino alle pecore, gli zampognari vicino al pescivendolo, la donna con in testa la cesta piena di caciocavalli vicino ai Re Magi. Ogni anno si ripeteva il rito di aggiungere nuovi pastori al presepe, facendo talvolta file lunghissime nei vari negozi che li vendevano. Alcuni di questi aprivano solo nel periodo precedente al Natale.

In ogni casa si doveva fare, e si fa, il presepe. Per l’Immacolata deve essere pronto. Grotte, stradine, il castello di Erode, il laghetto fatto con la carta stagnola, il cielo con le stelline: esiste tutta una tradizione che si è diffusa molto nella nostra città. Negli anni, numerosi privati, veri e propri maestri presepiali, hanno dato vita a presepi meravigliosi, che hanno attirato visitatori da ogni parte della regione. Ricordiamo il presepe di San Pietro e quello di Teodosio, ma numerosi erano i presepi visitabili in diverse zone della città.

 

Anche quest’anno si ripete, per la tredicesima edizione, l’esperienza del presepe vivente, voluto da don Giovanni De Riggi, inaugurato per la prima volta nel 2008 nel cuore della città, nel quartiere Vetrari, tranne che nel 2018 e 2019, quando si tenne in Piazza Vittorio Veneto. Con la partecipazione di molte persone di buona volontà, la Parrocchia di Santa Maria delle Vergini dà vita, in un posto che straordinariamente si adatta alla rappresentazione della notte della nascita di Ninno santo, a uno spettacolo che emoziona e lascia tutti veramente stupiti e coinvolti.

La città di Scafati era molto meno addobbata: le luminarie degli anni ’80 erano molto semplici. Ricordo solo una stella di Natale posta fuori ai negozi, che veniva accesa solo dopo l’Immacolata. Oggi è molto diverso: le luminarie abbondano, riempiendo di luci la città e le attività commerciali, creando un’atmosfera ancora più magica. Il tutto ha inizio già da metà novembre.

La prima vera tappa delle feste natalizie è il 24 dicembre. Quando si avvicina la Vigilia, i pescivendoli dispongono le vasche profonde, in cui nuotano anguille e capitoni, pronti all’estremo sacrificio. Per la Vigilia, tempo fa, ma ancora oggi questa usanza persiste, si usava mangiare spaghetti con noci, pinoli e uva passa. Non deve mancare l’insalata di rinforzo, con cavolfiore, pappacelle e giardiniera, il broccolo di Natale e le pizzelle di baccalà. E, infine, LUI, il capitone, da preparare in umido, fritto o arrostito.

A fine pranzo, la frutta secca – noci, nocelle, cacavoli – si mangia per ingannare il tempo, mentre si gioca a tombola, al mercante in fiera, a sette e mezzo, e si aspetta di depositare il bambinello nella grotta e andare alla messa di mezzanotte.

Durante la messa, che ricorda la nascita di Cristo, si chiede la pace per le proprie famiglie e per il mondo.

 

Quanno nascette

Ninno a Betlemme

Nun c’erano nemice pe la terra

La pecora pascea cu lu lione

Co’ capretto se vedette

Lu liopardo pazzià

E cu lu lupu pasce ‘o pecuriello.

 

Così scrisse Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, autore anche della celebre Tu scendi dalle stelle.

 

E mai come quest’anno bisogna chiedere, nelle preghiere di Natale, che Gesù Bambino possa illuminare le menti dei potenti, affinché scelgano le vie della pace.

 

Il giorno di Natale, poi, vedeva e vede protagonisti i bambini. Alla fine del lauto pranzo, frutto della fatica e della esperienza culinaria delle donne di casa, per ore e ore ai fornelli, c’è il rito della poesia e della letterina, che sbuca da sotto il piatto del capofamiglia.

 

La poesia di Natale si recita rigorosamente in piedi su una sedia. Da questa postazione si legge anche la letterina, in cui si promette di essere ubbidienti e di studiare. Mai si dimenticano i parenti, augurando a tutti prosperità e buona salute. Nel passato, le letterine erano argentate o dorate, con immagini della Natività. Le vendeva Adelina, abbascio ‘o Vaglio, che ne aveva una gran varietà, e i bambini si incantavano, scegliendo quella da portare a scuola con grande cura. Ne passavano molti di bambini, a partire dall’Immacolata, nella cartolibreria di Adelina, e lei li accoglieva sempre con un sorriso, pronta a dare consigli e a fare uno sconto particolare a chi non aveva i soldi sufficienti.

Le feste non finivano certamente a Natale. C’era da festeggiare Capodanno, riprendendo le grandi riunioni familiari, intorno a un tavolo imbandito, mangiando e giocando fino a mezzanotte. Poi bussavano alla porta: erano quelli della frasca, che offrivano il loro canto: ‘O primmo ‘e l’anno nuovo… in cambio di qualche cibaria. Questa tradizione della frasca viene rinnovata ogni anno, nel quartiere Vetrari.

Purtroppo, negli anni passati, c’era una terribile abitudine: quella di lanciare per strada oggetti non più utili. Le vie si riempivano di detriti, anche pericolosi. Come pericolosi sono, ed erano, i botti. Bastano i bastoncini che si accendono di stelline e qualche bengala! Non c’è bisogno di botti pericolosi, che causano anche ferite e ricoveri.

Poi c’è lei, la Befana, quella che porta i regali. Brutta, ma generosa, vecchia che viaggia sulla scopa e che è stata messa quasi in pensione da Babbo Natale. Qualche decennio fa, la piazza di Scafati, per l’Epifania, si riempiva di bancarelle con i giocattoli, e i genitori facevano i salti mortali per tenere nascosti i doni fino a notte fonda, quando i piccoli dormivano ormai stanchi di aver atteso invano la Befana.

E poi tutta l’area che allora si trovava davanti al famoso Bar Cirillo accoglieva l’esposizione di doni particolari: si trattava della famosa Befana dei Vigili Urbani, che si celebrava in tutta Italia come riconoscimento del lavoro prezioso delle “guardie municipali.”

Se ne andava la Befana, e se ne andavano le feste.

Ci piace pensare ai bambini che, proprio come facevano i loro nonni, ripongono i pastori di creta con cura, dopo averli avvolti nella carta di giornale, nella scatola di cartone, in attesa del prossimo presepe.

 

Articolo e fotografie a cura di Sebastiano Sabbatino

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