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Scafati. La storia dell’edificio scolastico storico abbattuto nel 1985.

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Automobili e ancora automobili, un ampio anonimo parcheggio fu ricavato dove una volta sorgeva il maestoso edificio scolastico per le elementari, un parcheggio che il sociologo Augè chiama un non luogo, uno spazio che   non è assolutamente identitario, che non racconta nulla dal punto di vista storico e che non crea relazioni,

Ancor prima di essere popolato di voci di bambini che recitavano poesie o ripetevano le tabelline, l’edificio vedeva la presenza di numerosi operai specializzati: fu, infatti, un padiglione del cotonificio dei Meyer, adibito alla stampa, molto pregiata e apprezzata, dei tessuti.

Infatti, nel 1840, due capi operai ottennero una medaglia d’argento per le tele di cotone stampate nella fabbrica di Meyer e allo stesso venne conferita una medaglia d’oro per i tessuti stampati nella stessa fabbrica di Scafati. Nell’edificio, che poi diverrà la nostra antica scuola, lavoravano 150 persone. Alle maestranze era concessa un’ora per il pranzo al quale provvedevano da sé e l’orario di lavoro era di 14 ore. Nella stamperia si producevano le famose le cotonine a stampa, con diversi fondi e disegni e le mussoline operate per i tendaggi.

L’edificio storico, dunque, che aveva ospitato prima il lavoro di operai e poi quello di maestre e maestri indimenticabili, che avevano insegnato i calcoli e l’alfabeto ma non solo, divenne un parcheggio.

Venne abbattuto, in seguito al terremoto, per certificata inagibilità, nel 1985. La verifica sismica dell’edificio scolastico   venne affidata dal Consiglio Comunale del 21/12/1981 all’ingegnere Mario Pasquino di Napoli che presentò, come recita il verbale del C.C.  30 settembre 1983, ampia e dettagliata perizia dalla quale tra l’altro, rilevasi che “utilizzare questa struttura, sebbene rinforzata sottopone ad un elevato rischio sismico gli utenti della stessa “. Dal verbale del   consiglio comunale si legge che la spesa presunta per tutti gli interventi ammontava a 300 milioni circa e che i lavori sarebbero stati affidati con il sistema dell’appalto concorso.

I lavori di demolizione furono affidati in data 13 luglio 1984 alla ditta Ruggiero Aniello per l’importo di lire 269.945.570 oltre IVA.

A quei tempi, evidentemente, non era ancora diffusa la cultura della conservazione e della valorizzazione dei beni culturali. Infatti non esiste nessuna testimonianza di opinione contraria all’abbattimento e non si alzò nessuna voce per valutare, almeno, un ulteriore parere per un intervento di ristrutturazione.

(Foto di Francesco Falanga)

Poco prima dell’abbattimento dall’edificio sparirono molti oggetti, tra cui tutti i testi di un’importante biblioteca scolastica.

Le aule per ospitare i bambini, dopo il terremoto, vennero collocate al cortile Ferrara, dove oggi c’è il Comando della Polizia Municipale, a Corso Nazionale, Palazzo Bulleri; fu istituito, inoltre, il doppio turno presso la scuola media “Anardi”.

È da ricordare che tutto il complesso industriale che fu dei Meyer, dei Freitag e dei Wenner, acquisito dal Comune, era stato già demolito, e in un’area occupata degli antichi opifici era stata costruita la scuola Media. A testimonianza dell’industria tessile restano oggi solo il Palazzo Meyer   e il parco Wenner.

A novembre del 1984 iniziò la demolizione e fu definitivamente messo a tacere il suono della tufa che aveva chiamato per decenni al lavoro prima e allo studio poi centinaia di scafatesi adulti e bambini.

Quel suono certo non era gradevole, gracchiante, roco. Esiste, infatti, un modo di dire scafatese; quando un bambino piange in continuazione, gli si dice: Mi pare ‘a tufa ‘ e Freitacco (Freitag, uno degli industriali svizzeri che operò a Scafati). Eppure quel suono era divenuto familiare, richiamava tutti al loro dovere e si sentiva per gran parte del paese.

Il corpo di fabbrica già stamperia dei Meyer era stato ristrutturato e inaugurato nel 1934. Scafati aveva finalmente un edificio scolastico degno di questo nome.

Precedentemente, le aule scolastiche per le scuole elementari era collocate in varie parti della città.

Ricordiamo le aule nel palazzo Sansone, cosiddetto palazzo delle carrozze, quelle a via Cesare Battisti, nel cortile detto “delle scuole”, e poi in via Roma. …

Il direttore Luigi Ferrara si era molto adoperato affinché la ristrutturazione venisse completata al più presto.  Vedeva che i lavori procedevano, che lo stabile riacquistava, nella sua armoniosa architettura, dignità, bellezza e austerità e fu anche fautore della istituzione, nel vicino giardino, di un Orto botanico.

Il direttore era un uomo di cultura, esperto di pedagogia, autore di molti libri, tra cui Racimoli di pedagogia moderna.

(In foto: Luigi Ferrara – foto fornita dalla figlia maestra Carmela Ferrara)

Collaborò col Parroco Don Vincenzo Rioles per la pubblicazione del libro Cenni storici su Scafati.

L’edificio scolastico era il suo chiodo fisso. Ma alla grandiosa cerimonia di inaugurazione il Direttore Lugi Ferrara non c’era, era morto pochi giorni prima.

(Foto dell’inaugurazione dell’edificio scolastico Emanuele Filiberto di Savoia Aosta. Sono riconoscibili il Parroco don Vincenzo Rioles e il podestà Pasquale Vitiello. Foto fornita dalla maestra Carmela Ferrara e resa a colori da Pio Puglisi)

La cerimonia di inaugurazione richiamò la presenza di cittadini da tutto il paese. C’erano i bambini, tutti, tutti i maestri, le autorità civili e militari. Finalmente una scuola! Erano venuti anche dai vicoli, al richiamo: “Iammo ‘a vedè ‘a festa per la scuola nova”

Si sviluppava su tre piani, anche se le stanze al terzo piano furono occupate dagli uffici del Partito Fascista. Durante il ventennio anche il piazzale era utilizzato per le sfilate dei balilla e delle piccole italiane. Le aule erano luminosissime, con due finestre ampie. La porta di ogni aula dava su un corridoio enorme, le cui finestre offrivano alla vista il parco dei Wenner. In fondo al corridoio c’era una stanzetta per i bidelli e i bagni. Al piano terra erano ubicati gli uffici e la direzione didattica e alcune aule. Al piano terra si accedeva dal portone centrale, dal portone laterale di sinistra al primo piano, e da quello di destra al secondo.

La scuola fu requisita dagli alleati nel 1943 e vi rimasero per circa un anno.

La nostra antica scuola è rimasta nella memoria di molti e anche quelli che non possono ricordarla, la conoscono dalle foto e dai racconti dei nonni e delle persone più anziane.

Prima della grandiosa invenzione della penna a biro, ogni mattina passava il bidello, per riempire i calamai di inchiostro che non pochi danni arrecava ai quaderni, se non si stava attenti con i pennini che erano davvero insidiosi.  In ogni aula c’era un armadietto con i quaderni di bella copia, chiamati semplicemente quaderni di bella. Erano gelosamente custoditi, per poterli mostrare al direttore, nel caso di una sua improvvisa visita. Allora, infatti, i maestri erano soggetti ad un giudizio annuale da parte del Direttore che si chiamava qualifica. Le aule sapevano di gesso e di inchiostro e risuonavano di cori.  Allora come oggi c’erano brave maestre e maestri, indimenticabili, che sono restati nel cuore, i cui insegnamenti al rispetto degli altri, al senso del dovere, alla serietà dello studio molti hanno seguito per tutta la vita. Le classi erano o maschili o femminili e solo nel 1964/65 ci fu la prima classe mista.

Pima di arrivare al piazzale, ci si fermava presso le bancarelle della signora detta la Cardella. Vendeva caramelline, sciù sciù colorati, gomme americane e, soprattutto, i lacci di liquerizia, i più quotati perché costavano poco e, quando si succhiavano, fischiavano. Si consumavano durante la ricreazione, quando i bidelli venivano a prelevare i bambini più bisognosi che mangiavano alla mensa, situata in un edificio dei Wenner alla destra della scuola, edificio di seguito, come abbiamo detto, abbattuto. Poi i bambini tornavano in classe, portando un pezzettino di cioccolata a forma di formaggino e destando l’invidia di chi aveva succhiato un laccio di liquerizia, in attesa del pranzo, a casa.

Quando si arrivava nl piazzale e ci si trovava di fronte all’edificio, lo si sentiva nostro e sapevamo che là dentro c’erano le amiche e gli amici con cui fare le corse nei corridoi che sembravano interminabili, attenti che arriva il Direttore! e la maestra o il maestro, che a volte erano troppo severi, che avevano anche una bacchetta di legno che facevano finta di usare, ma che ci volevano bene.

L’Istituto della scuola elementare Emanuele Filiberto di Savoia Aosta non c’è più dal 1985.Era proprio bello, reso ancor più bello dalla memoria.

Per fortuna l’istituto   che ospita la vicina scuola elementare “Anna Ferrara” continua ad accogliere i bambini e le bambine. Sono cambiati i metodi, al posto delle cartelle di cartone ci sono gli zainetti, al posto del grembiule nero, per tutti, maschi e femmine, si indossano le divise, al posto dei pennini, sofisticate penne colorate, non c’è più solo il libro di lettura e il sussidiario, ma restano i maestri, che lavorano con passione, che con premurosa cura si occupano dei propri alunni.

Quando nelle aule –  scrive il sociologo Edgar Morin, –  manca la passione c´è un sapere frammentato che uccide ogni curiosità.

Come ottenere il rispetto degli alunni, inculcare un senso di responsabilità e dignità individuale di curiosità per i fatti del mondo di ieri e di oggi, per i calcoli matematici, per la poesia?

«Con l´amore» risponde Edgar Morini, «e non è un´idea mia, sto solo citando Platone».

È questo amore come un filo rosso si snoda dal passato al presente, attraversa gli anni; il ricordo ci permette di percorrere ampi corridoi e luminose aule, di risentire la voce dei maestri. il ritmo delle tabelline e della poesia da recitare a Natale.

E di rivedere una nostra antica scuola.

Articolo a cura di Sebastiano Sabbatino

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