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Scafati. Bambini durante la guerra… Racconti di resistenza e libertà!

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Tra pochi giorni ricorrerà l’anniversario della “Battaglia di Scafati” con la quale venne liberata la città dai nazisti. A questo abbiamo dedicato anche l’ultima copertina della nostra rivista mensile SCAFATI IN. Di seguito, invece, l’approfondimento, i racconti, le foto e la rubrica curata da Sebastiano Sabbatino sull’argomento.

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È stato molto emozionante e perfino commovente ascoltare dalla viva voce di persone anziane, persone comuni, piccole storie di vita quotidiana del periodo della guerra, di quando erano bambini. La scelta di far parlare persone reali, di citare nomi, cognomi e luoghi, è stata dettata dalla considerazione che quando si narra la Storia facendo riferimento solo ai grandi avvenimenti, si rischia di non comprendere la dimensione umana di certi eventi, le sofferenze quotidiane, le attese e la speranza.

Le testimonianze forniscono un contributo alla storia di Scafati più umile che scorreva parallela alla Storia ufficiale. La guerra, la miseria, i bombardamenti, le scelte politiche terribili che furono fatte dal nazifascismo sono stati ampiamente documentati. Scafati, dove stanziavano i tedeschi, sopportò i disagi del conflitto, fu luogo devastato dalle bombe, con centinaia di morti. Il 10 agosto del 1943 a Scafati caddero le prime bombe, a San Pietro e ci furono le prime vittime civili. Il primo settembre ci fu una manifestazione per la pace, così immaginata dalla scrittrice Redenta Formisano:

“- Dobbiamo farci sentire, noi non ne possiamo più di fame, morti e di una guerra della quale non si vede la fine. Mettiamoci insieme, come fecero le nostre madri, quando arrivò la cavalleria chiamata dai Wenner contro gli scioperanti. Si passarono la voce, le donne. E l’indomani, il 1 settembre, misero ai balconi le lenzuola bianche, quelle di tutti i giorni, perché le buone, con i ricami e i merletti, se l’erano vendute, nelle campagne, per un pugno di fagioli e una sacchetta di patate. Sfilarono per le strade, senza urlare. Il corteo diventava sempre più numeroso. Una sola la parola: pace, pace, pace, mentre le campane delle Chiese suonavano ad accompagnare le donne in marcia.”

28 settembre 1943. Cannoncino posizionato davanti al vicolo Falanga (foto tratta da “Cinquant’anni fa la guerra” del Dott. Angelo Pesce).

 

Il 13 settembre alle 21 si ebbe il più feroce bombardamento, con numerosi morti e feriti. La rievocazione dettagliata dei bombardamenti è citata dal dott. Angelo Pesce nel suo volume “Cinquant’anni fa, la guerra” ed è tratta dal diario del dott. Franco D’Alessandro che non siamo riusciti a recuperare.

Ancora non si conosce, tuttavia, il numero preciso di morti sotto le bombe. Si spera che possa essere redatto un elenco e che venga anche collocata una lapide che ricordi i nomi dei caduti, uomini, donne e bambini, vittime innocenti. Quando gli alleati, scesi da Chiunzi, furono vicini a Scafati, un gruppo di valorosi cittadini si organizzò, favorendone l’arrivo. Alcuni bambini di allora ci hanno raccontato pezzi della loro vita. Stupisce la chiarezza, il riferimento ai dettagli con cui hanno ricordato e narrato. Il tempo passato, che sembrava nascosto, è riemerso, vivo e palpitante. Si sono congiunti, così, nella trama di singole esistenze, attraverso il racconto, il cunto, i fatti di ieri con quelli di oggi. Ascoltare un cuntu, stupirsi di tutto: è questa la saggezza, diceva Goethe. E noi dobbiamo recuperare la capacità di stupirci, perché dallo stupore deriva anche la capacità di conoscere con il passato, con empatia, di conoscere le scelte, i sacrifici e anche gli errori di quelli che hanno costruito il presente.

Il signor Carlo Acerra, oggi giovane novantenne, ci presenta un quadro di vita quotidiana che si intreccia con la grande storia. Trascriviamo alla lettera la sua testimonianza per lo spaccato di storia e di vita quotidiana che ci offre, con precisione e sempre viva commozione.

Carlo Acerra (foto di Antonio Violante)

“Abitavo in via Geremia Cavallaro, nel palazzo del dottor Geremia Cavallaro, dove poi abitò il figlio Antonio, anche lui medico. Frequentavo l’istituto scolastico ‘Emanuele Filiberto di Savoia Aosta’, nell’ottobre del 1940. Il mio maestro era il professore Iervolino, fascista convinto. Io ero il capoclasse. Il maestro, ogni mattina, comprava il giornale IL ROMA che riportava il bollettino di guerra. Io, ogni giorno, andavo a scuola prima degli altri, il maestro mi prendeva in braccio da una finestra a piano terra e mi faceva entrare per scrivere sulla lavagna, sotto dettatura, il bollettino di guerra di quel giorno. Il pomeriggio andavo ad aiutare mio padre nel negozio di barbiere in piazza, all’angolo di cortile Falanga. Precedentemente mio padre aveva lavorato nella tessitoria dei Wenner, nel reparto apprettamento (togliendo i peli dai tessuti). In piazza, la famiglia del barbiere Aniello Criscuolo pensò di far gestire il negozio a mio padre, Catello Acerra, classe 1901, poiché il titolare era stato richiamato in guerra. Già con l’inizio della guerra e con le tessere annonarie, la nostra vita cambiò e soffrivamo la fame. Dopo l’otto settembre 1943, con l’armistizio, iniziammo a vedere a Scafati soldati tedeschi che si stanziarono nel palazzo del gelataio in piazza e venivano a farsi la barba e i capelli da mio padre e pagavano 5 lire volontariamente, già prima che mio padre iniziasse il lavoro, mentre un abbonamento mensile pagato da uno scafatese era di dieci lire. I tedeschi pagavano bene! Divenni, già prima della guerra, amico di Ben, a cui era stato messo il nome di Benito Mussolino, figlio di un tedesco che seppi dopo essere una spia tedesca a Scafati. Abitavano in Corso Trieste, nel palazzo dell’avviamento a piano terra e scapparono dopo il 28 settembre. Ricordo che, dopo l’otto settembre 1943, un ragazzo di circa quindici anni, Renato Ferrara, aveva imparato una frase in tedesco: “Figlio di puttana”. Un giorno la usò in piazza contro un soldato tedesco che, dopo aver estratto la pistola, lo rincorse per i giardini della piazza; il ragazzo scappò per cortile Falanga, dileguandosi per i tetti, conoscendo molto bene i luoghi. Così riuscì a salvarsi. Restai impietrito da questa scena come i tanti che vi assistettero. Il 27 settembre 1943 ero in piazza, nel salone, e si avvertiva già nell’aria che la situazione stava peggiorando; i tedeschi avevano già minato il ponte e posizionato un cannoncino davanti al vicolo Falanga che rimase lì anche a battaglia finita per tre o quattro mesi. Un soldato che era solito farsi la barba da noi ci disse di chiudere il negozio e andarcene, perché era pericoloso restare lì. Così facemmo. Ricordo che la giornata del 28 settembre restammo chiusi in casa nei rifugi di fortuna, nel nostro caso la cantina di casa, mentre fuori si udivano spari. Ricordo come se fosse ieri la scena del giovane Domenico Catalano, partigiano deceduto durante la battaglia di Scafati, trasportato su di una scala utilizzata come barella, e, attraverso via Gorizia, per la strettoia che da vicolo Desiderio porta a via Geremia Cavallaro, fu portato, ormai morto, a casa sua. Una scena straziante. Ricordo un’altra scena altrettanto straziante, all’angolo di Corso Trieste con via Geremia Cavallaro: con una mitragliatrice posizionata sul palazzo Nappi, fu colpito Raffaele Cavallaro, che si trovava lì per caso. Ricordo che la famiglia, andando a cercarlo, lo trovò morto all’angolo della strada e, a distanza di ottanta anni, ancora ricordo, come fosse ieri, la disperazione e l’impotenza di quei momenti. Il 29 settembre riaprimmo il negozio in piazza e i nostri servizi di barberia che fino a due giorni prima offrivamo ai soldati tedeschi ora erano destinati ai soldati inglesi. Avevamo affisso nel negozio un cartello, invitando a lasciare qualcosa a piacere. Ma a differenza dei tedeschi, che pagavano prima di ricevere il servizio, gli inglesi molto spesso andavano via senza pagare nulla. Il 29 settembre, mentre ancora transitavano le truppe anglo-americane e gli scafatesi si affollavano in piazza, sperando di ricevere qualcosa in dono, caramelle, cioccolato o altro, da un carro armato un soldato afroamericano, giunto all’altezza della farmacia Bottoni, si abbassò le braghe e urinò sulla folla assiepata, lasciandoci senza parole”.

Scafati inizio anni ’40. Piazza Vittorio Veneto durante la Seconda Guerra Mondiale, come si può vedere dalla foto, sulla Chiesa furono istallati particolari segnali utilizzati anche per evidenziare dal cielo gli edifici meritevoli di speciale protezione per la loro specifica funzione (ospedali, chiese e monumenti) nella speranza che fossero rispettati dai bombardieri nemici.
Diario di Antonietta Ferrara.

Questo gesto, compiuto verso una popolazione stremata, lascia tutti senza parole. La piccola storia, quella delle testimonianze dirette e minuziose che riguardano la vita quotidiana e la varia umanità, ci racconta molte cose che la grande storia non può narrare. Certamente le azioni valorose degli alleati restano e non vengono per niente deturpate da un singolo brutto gesto. Inoltre, come abbiamo già ricordato, a Scafati l’arrivo degli alleati fu favorito dall’azione di eroici partigiani che impedirono che il ponte saltasse, come ricorda la lapide posta proprio sul fiume, e che permisero un’avanzata più rapida degli anglo-americani verso Napoli. Per l’azione dei partigiani, Scafati fu insignita della medaglia d’oro alla Resistenza. Abbiamo altre testimonianze molto interessanti che ci riproponiamo di pubblicare nei prossimi numeri. Esiste un diario redatto giorno dopo giorno da una quindicenne durante gli anni della guerra. Leggendolo, non solo sembra di rivivere quei giorni ma anche di vedere questa ragazzina intingere il pennino e trascrivere su un quaderno i momenti difficili che stava vivendo.

Articolo a cura di Sebastiano Sabbatino

Via Cesare Battisti angolo via Nazario Sauro durante i combattimenti. Foto tratta dal libro “Cinquant’anni fa la guerra” del dott. Angelo Pesce.

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