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Scafati. Storia, tradizioni e foto storiche sulla patrona Madonna delle Vergini.

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Alla nostra antica festa, la festa della Regina delle Vergini, protettrice di Scafati, che durante tutto l’anno ci segue dall’alto del suo trono, nella cappella della confraternita, gli scafatesi partecipano con devozione ed entusiasmo. Quest’anno, poi, nell’aria di maggio che si fa dolce di profumi e tenera di colori, come quelli dell’immagine di Maria, la Vergine è già giunta nelle strade, nei vicoli della nostra città. È stata salutata con preghiere ed inni, in attesa delle processioni di luglio. Già da giugno ci si comincia a preparare: “Devo farmi cucire il vestito per la Madonna delle Vergini,” si diceva nel passato. In quasi tutte le case, le ragazze ci tenevano a ‘ingignarsi’ e le sarte passavano le nottate tra il ronzio della macchina da cucire e il fruscio delle stoffe, dalla semplice cotonina a fiorellini, al taffetà, fino alla seta pura che scivolava sotto l’ago e bisognava cucire a mano. Indossare un abito nuovo sta a significare simbolicamente la volontà di presentarsi con dignità alle funzioni religiose, significa anche volontà di rigenerarsi, di guardare avanti. Nella parabola del padre misericordioso il simbolo del vestito, ad esempio, è predominante: il figlio, andando via di casa, non solo sperperò i suoi beni, ma ripudiò, insieme al padre, la sua identità filiale. Ritornato a casa, il padre gli fece indossare il vestito più bello.
Foto-di-inizio-‘900
Foto di inizio ‘900
Insomma, per la festa il vestito nuovo indicava e indica all’esterno ciò che riempie il cuore: e sono tutti buoni sentimenti perché lo sguardo della nostra Madre, simbolo essa stessa della maternità divina e umana, induce a tenerezza, bontà, umiltà. Eppure i vestiti nuovi erano anche l’occasione, per le ragazze, di mostrarsi belle agli sguardi “innamorati e schivi” come scrive il poeta, la sera, quando la luce delle luminarie esplode con i ghirigori, i fiori, le volute, le linee curve e rette che si incrociano e si rincorrono in un gioco senza fine e riempiono le strade e le stradine con i loro colori. E il martedì, si andava insieme sull’asteco a contemplare la gara dei fuochi d’artificio, frutto dell’arte di diversi fuochisti che danno vita a mirabolanti cascate di stelle d’oro, d’argento, rosse e blu. La festa si svolgeva nella penultima domenica di luglio, che poteva essere la quarta o la terza. Fino al diciannovesimo secolo i festeggiamenti si svolgevano due volte l’anno, a luglio e la terza domenica di ottobre. Potrebbe, la scelta del mese di luglio o essere collegata ai festeggiamenti in onore di San Giacomo o alla data dell’arrivo della statua a Scafati, nel 1713.
FOTO: La statua della Madonna trasportata dalla prima macchina presente a Scafati.
È nota a tutti la storia della statua che sul ponte divenne pesantissima e non si riusciva più a spostarla. Insomma, la Madonna delle Vergini scelse di restare nella nostra Chiesa sul fiume, tra gli abitanti di una città complessa, situata in un luogo di transito molto frequentato. I peccati erano in agguato e bisognava difendere soprattutto le fanciulle affinché conservassero la loro purezza. La Vergine le proteggeva sotto il suo manto e la confraternita, in seguito, aiutava le più povere a mettere insieme un dignitoso corredo. La sola statua pesa 240 kg e, complessivamente, con il basamento, 380 kg; le due aste su cui poggia sono sorrette, come vuole la tradizione, da sole quattro persone. In passato veniva trasportata dai facchini della ferrovia. Si racconta di uno scherzo goliardico fatto ai facchini: furono nascosti i loro berretti e non si riuscirono a trovare. Il parroco Don Domenico Cannavacciuolo fu costretto a comprarne dei nuovi presso il negozio del “Cuppularo”, cioè Angrisani, in piazza. Questo scherzo di pessimo gusto interruppe la collaborazione con i facchini della ferrovia. Oggi la statua viene trasportata dai masti ‘e festa. Era ed è usanza che gli uomini che sorreggono la statua indossino una maglia azzurra di lana a maniche lunghe, lavorata a mano dalle donne scafatesi. La festa, la grande festa religiosa e popolare, inizia quando la Madonna scende dal suo trono, il giovedì antecedente la data delle celebrazioni. “Oggi scende la Madonna,” si dice. È una frase bellissima. È un modo per narrare un incontro miracoloso, straordinario: è la Vergine che vive tra la gente, si fa donna tra le donne, madre tra le madri, che sorride a tutti, che dà speranza.
Foto anni ‘90 la statua di Santa Maria delle Vergini a Roma dinanzi al Papà Giovanni Paolo II
Il giovedì era il giorno del proiettore del cinema Odeon che illuminava con il suo fascio di luce la statua che lentamente avanzava verso l’atrio della sede del Comune, antica dimora dei Wenner. Le voci dei partecipanti alla processione tacciono all’improvviso e si percepisce solo la meraviglia: quella luce offre davvero il senso di una divina apparizione. La sosta nell’atrio del palazzo, la passeggiata nei giardini splendidi dei Wenner stanno a significare un altro incontro, quello con i lavoratori, gli operai e le operaie del cotonificio che parteciparono generosamente alla raccolta dei fondi necessari per donare alla Madonna uno splendido, luminoso medaglione. È la luce che ritorna durante la nostra festa, la luce della giornata di luglio, con il sole che riscalda, del faro dell’Odeon, delle luminarie, dell’oro. Della corona di stelle sul capo della Vergine. Sono i colori della vita che predominano: si usava esporre ai balconi le lenzuola durante le processioni, lenzuola bianche, azzurre e rosa, ricamate, frutto dell’arte delle nostre nonne, con trine e merletti, con ricami centrali di sfilato: alla Madonna si offriva quanto di più prezioso si era conservato dal corredo. Già i giorni precedenti si tiravano fuori dalle cassapanche, si lavavano, si stiravano. Non una piega doveva notarsi, dal basso, da parte delle persone che alzavano gli occhi a contemplarle. Ma dal balconcino di Nannina, a Corso Trieste, non sfigurava un semplice lenzuolo di canapa che, pur nella sua nuda semplicità, diceva tutta la devozione sincera e la speranza di una fede ferma, come quella tela umile e resistente. E nelle giornate della festa, ai colori si aggiungono i suoni, la musica, i canti. Il facile ritmo delle ultime canzoni di successo proviene dalla zona del luna park, abbascio ‘o vaglio, grande attrattiva per piccoli e grandi, con le macchine tozza tozza e il tiro al bersaglio. Si diffonde una miscellanea di suoni e un allegro vociare degli ambulanti che invitano alla pesca del numero fortunato che farà vincere la bambola da collocare in mezzo al letto, con il suo abito a sbalze, di tulle rosso e nero.
La prima immagine della statua di Santa Maria delle Vergini che si trova sull’altare della Chiesa scolpita su marmo , bottega napoletana della seconda metà del ‘700
In piazza, la sera della domenica c’era e c’è la banda. Il concerto della banda è una vera tradizione scafatese che risale agli inizi del Novecento, quando nella nostra città esisteva un circolo educativo, culturale e popolare. E, di mattina, la banda si esibiva in villa, sulla montagnola. E accompagnava e accompagna le processioni. La Madonna va in processione per tutta la città. Tutta la città si sente unita nell’abbraccio di fede, di devozione, di tradizioni. Si fa forte il senso di appartenenza a una comunità, dalle periferie contadine ai quartieri operai, da abbascio ‘o mulino al quartiere Vitrare, da Corso Trieste alla via Nova, una comunità che condivide un’antica storia. Alla solenne processione con la statua trainata da buoi o da una delle prime autovetture o da un camion partecipavano anche le congreghe religiose dei comuni vicini. La processione inizia dal mattino. Le persone la aspettano. Sta arrivando, eccola. Si preparano acqua e bevande per ristorare gli uomini che la accompagnano. La folla del passeggio serale sotto gli archi delle luminarie si dispone ai lati delle strade. E quando la processione arriva in piazza, la banda interrompe il concerto, le campane suonano a festa e la Madonna fa rientro in Chiesa dove l’antica arte dei paratori scafatesi ha addobbato un trono di broccati bianchi e azzurri.
Cartoline realizzate dal gruppo Facebook “Sei di Scafati se’’ nel 2019 in occasione del ritorno della statua dalla fase di restauro che l’ha riportata ai suoi colori originali. 
Dal popolo si alza la canzone “Sotto l’ombra del tuo manto tu ci accogli o gran Regina”. A Lei gli scafatesi hanno sempre chiesto nei momenti più difficili della grande storia e delle loro piccole storie di vita grazia e perdono. Lei ha accompagnato le nascite e le morti, lei, collocata sull’altare maggiore, durante i terribili bombardamenti che fecero a Scafati più di 100 vittime, alleviò la disperazione e rinnovò la speranza. È per lei la festa popolare, che vede accorrere persone da tutte le zone circostanti, è anche la festa del cibo, del torrone, delle nocelle affogate, delle castagne cosiddette del prete. Si narra, infatti, che un prete ricevette in dono moltissime castagne e le caricò sul suo mulo per portarle a casa. Tuttavia l’animale, gravato dal grosso peso e mal condotto dal padrone, inciampò in un fiume riversando i frutti in acqua. L’intero villaggio iniziò a deridere e schernire il prete che, però, non si diede per vinto: tornò a casa e mise le castagne in forno per asciugarle creando così la gustosa ricetta che prenderà il suo nome. E la nostra festa popolare, è fatta di cibi, legati ad antiche tradizioni. A tavola non deve mancare ‘o palatone ‘e pane.
Cartoline realizzate dal gruppo Facebook “Sei di Scafati se’’ nel 2019 in occasione del ritorno della statua dalla fase di restauro che l’ha riportata ai suoi colori originali.
Il pane è simbolo antico di convivialità e socialità, senza far riferimento al suo significato cristiano di mensa divina, e la sua etimologia sta ad indicare comunque la condivisione cum panis. A tavola non deve mancare il vino, o quello di Gragnano o quello del Vesuvio, magari annacquato con la gassosa per evitare che un bicchiere di troppo, scuota gli animi e sciolga la lingua. E, anticamente, la terribile capa di pecora, la cui ricetta vi risparmio. Tutte le chianche le tenevano esposte, tagliate a metà. E la parmigiana e i puparulielli ‘e sciumme. E poi lo spumone del bar Cirillo e la sfogliatella del bar Cerrato. E di pomeriggio la subretta di Matteo in piazza o il cazzimbocchio dalle bancarelle approntate alla meglio, con il ghiaccio fatto diventare rosso o verde da un liquido indecifrato conservato nelle bottiglie. E le summente e la melonessa rossa come il fuoco, messa al fresco, fin dal mattino, nelle fresche e limpide acque del canale Bottaro. Si poteva spendere qualcosa in più, per il pranzo della Madonna ‘e Virgine. Si mettevano da parte i soldi. O si faceva qualche debituccio alla puteca. Tutti partecipavano alla mensa felice perché quando tutti siedono felici e in pace a tavola volano le colombe. I saperi e le pratiche legati al cibo della festa, servono a riportare alla luce antiche scene di contatto con gli altri, con la signora del basso, con la vicina di casa, con la cummarella della campagna, con il compare di cresima, immagini lontane nel tempo, fatte di dialogo, di ascolto e di rispetto reciproco che dovrebbero ritornare attuali. E perfino insegnarci qualcosa su noi stessi. Oggi la statua sacra della nostra Madonna, in seguito al restauro, ritorna a noi negli antichi colori: dal passato ci viene incontro la Vergine, con la sua veste rosa, accogliendo come sempre sotto il suo manto stellato, le due fanciulle e, come nel passato, promette a noi che rivolgiamo a lei le nostre preghiere, un futuro di pace, di speranza e di carità.
Articolo e foto a cura di Sebastiano Sabbatino

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