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Scafati. C’era una volta il cinema, storia delle sale cinematografiche dagli inizi dal ’900.

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Articolo a cura di Sebastiano Sabbatino

C’era una volta il cinema, a Scafati.  E si poteva scegliere tra numerose pellicole, proiettate in vari luoghi della città. Si trattava di una radicata abitudine per tutti quelli che potevano spendere i soldi del biglietto, che non era molto caro. La domenica pomeriggio ci si preparava in tempo: si andava al cinema!  E non era raro che si andasse da una sala all’altra, per assistere a due proiezioni diverse; si passava dalle risate dei film comici alla commozione dei film d’amore, dalle ricostruzioni storiche alla suspence dei gialli. E non era raro che la stessa pellicola venisse vista anche due volte.

La prima sala cinematografica, quella più antica, risaliva ai primi anni del Novecento, era il Gloria che si trovava in via Monte Grappa, nel palazzo Scarlato, bombardato durante la seconda guerra mondiale e che oggi non esiste più. I lunghi tempi trascorsi da allora ci portano a riempire con la nostra immaginazione il vuoto di testimonianze scritte o fotografiche. Pensiamo ai cittadini scafatesi mettersi in coda per assistere ai primi film di Charlie Chaplin o al film di una regista, Elvira Notari, A Piedigrotta, proiettato con successo anche in America, con il titolo Gli orfani di Napoli. Si trattava del “cinema dei napulitani con «vicende ispirate a canzoni di successo, o tratte da sceneggiate, storie di scugnizzi e «piccerille» che si perdono» (Brunetta). Si trattava di film muti, di breve durata, tuttavia il tratto di strada di via Monte Grappa, doveva essere molto affollato. Durante gli anni precedenti la prima guerra mondiale, quando furono di moda Kolossal storici, la sala Gloria era sempre piena, soprattutto di domenica. Quando fu proiettato Cabiria, nel 1914, per la prima volta, la sala non riuscì a contenere tutti gli spettatori e ci fu anche qualche rissa.

Scafati, tuttavia, si arricchì, negli anni venti, con un’altra sala, La sala Venezia, fondata da Enrico Fienga. Fu Cine-teatro, offrendo spettacoli di varietà e famose rappresentazioni teatrali. Vi furono svolti festival di canzoni a cui parteciparono molti giovani in prima fila nella vita della città, tra cui il bravo giornalista Ciccio Matrone e il prof. Antonio De Angelis, appassionato animatore della vita politica.  La sala fu rifatta dopo la guerra. Memorabile, nella storia del cine teatro fu un concerto di musica dark, tenuto negli anni Ottanta e organizzato dall’ARCI, concerto che vide arrivare giovani da tutta la Campania, appassionati di una musica poco nota nel paese e abbigliati in modo molto originale, tanto da scatenare la curiosità di molti.

 

(IN FOTO: Insegna cinema Venezia)

 

La collocazione quasi d’incanto della sala tra due canali e la mitica cascata, l’ha resa simbolo della nostra piccola Venezia. E’ stata una vera e propria istituzione per tanti decenni, gestita a partire dagli anni venti del Novecento da Pasquale Falcone, detto Pullicinella, forse perché a Napoli, da dove proveniva, aveva lavorato in un circo come pagliaccio. La sala, negli anni Quaranta fu acquistata da Italiano Ferrara a cui ancora appartiene.

“La via era libera! Attraverso i larghi ferri della ringhiera del ponte passammo sulla cascata. Ci tenevamo stretti per mani, per non precipitare. Ci calammo lungo il costone e ci ritrovammo distesi tra le canne e le calle dell’isolotto. …Finalmente le porte di servizio del cinema furono aperti. Uscì tanta gente. Uscì anche don Pasquale Pullicinella che si fermò sulla porta. Il padrone, l’uomo dello spettacolo, alto, robusto, con enormi baffi all’insù era una via di mezzo tra il capocomico e il domatore di leoni…Si abbottonò la camicia a pistagna, tirò su le larghe bretelle e si allontanò lentamente. Noi infilammo di corsa la porta. Ci trovammo con i prossimamente. Il lungo bacio della Magnani fu sottolineato da un coro di fischi compiaciuto. L’arrivo dei nostri che sterminavano i cattivi indiani con la sbattuta delle sedie di ferro. Tutto quel frastuono faceva infuriare Cristina, la figlia arcigna di Don Pasquale”.

 

(IN FOTO: Sala Venezia in una foto dei primi del ‘900)

 

Il bravo scrittore scafatese Nino Lodomini, che da poco ci ha lasciato, descrive, con straordinaria capacità evocativa, il tentativo, riuscito, da parte di un gruppo di ragazzi dei vicoli, di entrare nella Sala Venezia, senza pagare il biglietto. E fa riferimento a Cristina che era addetta al mantenimento dell’ordine e al controllo dei biglietti. Aveva una mazza di giunco con la quale raggiungeva le gambe dei ragazzi più rumorosi o che avevano fatto i furbi, eludendo ogni sorveglianza.  Nella Sala, Brusciatino vendeva, quando era la stagione, le caldarroste e fuori si sistemava Mariuccia, che vendeva ‘o spasso, cioè semi, lupini, ceci secchi.

Molto vivace la testimonianza di una signora della nostra periferia che ci tenne a raccontare alla sua commara, la sua prima esperienza al cinema, un western, molto probabilmente.

“Domenica siamo andati al cinema a Scafati. Mi sono informata sul prezzo del biglietto e io e maritemo abbiamo deciso. Così, dopo tanto tempo, siamo andati, insieme a nostra figlia Maria, che tanto aveva insistito. A pranzo abbiamo mangiato leggero e ci siamo vestiti con i vestiti buoni. Siamo partiti di casa alle tre. In piazza ci siamo fermati prima da Matteo per prenderci una subretta che come li fa Matteo i gelati al limone non li fanno neanche a Napoli. Alle quattro siamo andati alla sala Venezia a fare il biglietto e ci siamo seduti. Alle quattro e mezzo è cominciato il cinematografo. E quando il signore con i baffi ci ha fatto uscire, dicendo – Voi state ancor qua, quante volte l’avete visto? – erano le dieci e mezza, notte fonda. Mai più, mai più, che paura quel cinematografo! Quello che abbiamo capito è che si tratta di cavalli. Insomma era un film con tanti cavalli. Prima si facevano piccoli piccoli, poi, però, all’improvviso te li vedevi davanti, grandi, che ti venivano addosso. Cavalli buoni che se la sono faticata la giornata, andando avanti e indietro e indietro avanti. Uno di quelli ci stava venendo addosso, cavalcava proprio verso di noi…Quando siamo usciti ho chiesto a mai figlia Maria se era contenta che ci aveva fatto spendere i soldi per farci mettere paura”.

 

(IN FOTO: Vecchio proiettore cinematografico)

 

Nel 1947 fu costruito da una società di Poggiomarino il cinema Odeon, che si caratterizzava per la sua modernità. Accanto alla sala funzionava una bouvette, gestita dai fratelli D’Apice. Dietro la cassa sedeva la madre dei gestori, una bella sorridente signora dalla bianca chioma, sempre accogliente e gentile. Lo spazio era molto ampio e ospitò spesso feste da ballo e di matrimonio, durante i quali venivano serviti, preparati dall’ineguagliabile Cerrato, i mitici spumoni.  Ogni estate, a luglio, si assisteva ad uno spettacolo di forte impatto mistico: quando si portava in processione la statua della Madonna, il fascio di luce del proiettore era rivolto verso il volto della Vergine e lo illuminava, rendendo ancora più suggestivo il momento di fede e di preghiera.  L’Odeon ospitava rappresentazioni teatrali importanti, concerti e gli spettacoli di fine d’anno della scuola media, organizzati niente meno che dalla famosa zietta Liù. Aveva la platea e la galleria e d’estate, il tetto, tra un tempo e l’altro del film, si apriva. Tutti alzavano gli occhi in alto per vedere le stelle o una falce di luna.

 

(IN FOTO: Cinema Odeon in costruzione del 1947. Fotografia di Carmine Ferrara)

E le stelle e la luna accompagnavano i film proiettati nelle arene. Negli anni Cinquanta fu costruita l’arena Eden, in contrada Sant’Antonio vecchio da un ragazzo intraprendente, Vincenza Cardella. L’area aveva un ingresso in muratura in via Poggio Marino.  Nel largo Nappi, sempre affollatissima, d’estate, era l’arena Delfino, voluta da Ubaldo Nappi e che funzionò, in un accogliente e profumato giardino, dall’affascinante atmosfera, fino agli anni Sessanta.  Nel Polverificio borbonico, detto ‘a pruvuliera” cioè la polveriera, funzionava d’estate un’arena con film e spettacoli. Vi si accedeva anche dal bellissimo viale dei platani. Sembra di vederle le coppie camminare a braccetto lungo il fiume per andare al cinema e scambiarsi anche qualche furtivo bacio. No, non si tratta di malinconia ma di quel sentimento che i portoghesi chiamano saudade, un rimpianto per ciò che abbiamo perso definitivamente o che mai abbiamo avuto.

Dagli anni Cinquanta, sul corso Nazionale, in seguito alla costruzione del grattacielo omonimo, funzionò il Cinema Aurora, appartenente a Emanuele Voccia e gestito da Catalano Francesco. Nel cinema, tra le file di sedie e le bestemmie degli spettatori, passava il ragazzo che, con il suo “Gazzose chi beve” invitava all’acquisto della famosa bevanda e di gomme da masticare e caramelle e lacci di liquirizia. Si muoveva rapido, portando un banchetto appeso al collo, tra i tentativi di sgambetto e la cortina di fumo di sigarette. Molto successo ebbero i musicarelli e molti pur di assistere al film, alla scena di Gianni Morandi in ginocchio davanti a Laura Efrikian, restavano addirittura all’impiedi, aspettando la proiezione successiva.

Scafati è stata una città ricca di sale cinematografiche e di arene, che stanno ad indicare la vivacità, la voglia di divertirsi e gli interessi culturali dei suoi abitanti, che mai si sono rassegnati ad una vita trascorsa tra le quattro mura, ma hanno sempre manifestato la voglia di essere presenti, di partecipare, di incontrarsi e di scambiare opinioni. Dei film si parlava in piazza, davanti al bar, in cucina; con le parole si ripercorrevano le scene più suggestive e nelle descrizioni sfilavano, negli anni, attori e attrici.

Poco tempo fa, è stata anche nuovamente ristrutturata la Sala Don Bosco, grazie all’impegno di Don Giovanni De Riggi e al contributo di tanti scafatesi, che sono fieri di un luogo bello, accogliente, appartenente alla comunità.  La Sala Don Bosco rappresenta, tra la Chiesa e la piazza, un luogo che permette di ricercare la identità della città, il senso di appartenenza ad una città che ha saputo distinguersi per capacità di accoglienza, per disponibilità all’ascolto, per curiosità culturale, una città che non ama emarginare o escludere. La sala Don Bosco, creatura di Don Domenico Cannavacciuolo, ha costituito e continuerà a costituire uno dei luoghi della città che narrano le nostre radici e la nostra memoria e che costruiscono il nostro presente. Più recenti sono il teatro San Pietro e il cine teatro San Francesco, luoghi voluti dalle comunità ecclesiali, costruiti anche con il contributo delle istituzioni, che ospitano spettacoli, concerti, dibattitti, incontri. Sono luoghi che arricchiscono le coscienze, evitando pericolosi silenzi e tenendo lontani “gli inverni dello spirito”.

Ma oggi, a Scafati, manca il fascino della sala cinematografica.

Ha scritto il regista Sorrentino: “Mi ha sempre dato molto fastidio sentire quegli autori che dicono di fare un percorso, di seguire una direzione: io prendo il cinema molto più alla leggera. Il cinema mi dà l’idea di un rifugio per chi non sa fare nulla, anche se in realtà poi uno le cose deve saperle fare eccome, ma è certamente una cosa molto divertente, un grande gioco. E come tale va vissuto.”

Ecco, ci manca questo: andare al cinema, far parte di un gioco collettivo, vivere momenti di altrove, nel tempo e nello spazio, lasciarsi coinvolgere per poi tornare alla realtà sempre un po’ più ricchi di idee e di emozioni.

(Si ringrazia per le preziose notizie il dott. Francesco Donnarumma)

Articolo a cura di Sebastiano Sabbatino

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