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Molte persone della mia generazione hanno cominciato a “tifare” per una squadra perché colpiti dalle imprese di calciatori diventati, poi, loro beniamini: Gigi Riva “Rombo di tuono”, il “Golden boy” Gianni Rivera, “Baffo” Mazzola, Roberto “Bonimba” Boninsegna, Pietro Anastasi detto “Pietruzzu u turcu”. Io, invece, ho cominciato ad appassionarmi alla Scafatese per i colori della sua bandiera. I miei genitori avevano un appartamento ad Agropoli, dove si recavano spesso di domenica; al ritorno, poiché non c’erano ancora sensi unici, il Corso nazionale poteva essere attraversato anche in direzione Piazza Vittorio Veneto. E lì, una bandiera che sventolava davanti al Bar Cirillo era il segnale tanto atteso da quei tifosi che non avevano potuto assistere alla partita e che stava a indicare e a segnalare la vittoria della Scafatese.
Era il 1967/68, avevo sei anni e i canarini erano guidati dal Mister Riccardo Carapellese, detto il “Carapelle”, o il “Carappa” o “Serpentina”. Da calciatore era stato un’ala agile, veloce e di gran talento, dallo scatto bruciante e dal dribbling ubriacante: mostrava colpi di classe cristallina, ottima tecnica, un controllo di palla finissimo e una notevole facilità di realizzazione, tanto da giocare anche 16 partite (7 da capitano) in Nazionale, con 10 reti realizzate. Come calciatore, aveva trovato la sua consacrazione nel Milan dell’immediato dopoguerra; era il tempo di Coppi e di Bartali, del Grande Torino di Valentino Mazzola, della nascita del territorio libero di Trieste, della morte di Manolete nell’Arena di Linares, dell’esilio in Egitto di Vittorio Emanuele III e di sua moglie Elena. Carappa era un’ala che volava e faceva volare la fantasia dei suoi sostenitori, che dribblava gli affanni della guerra, i pensieri e le paure del passato.
Da allenatore aveva cominciato nelle giovanili e, prima di arrivare alla Scafatese, aveva anche allenato Ternana (ottenendo una promozione dalla Serie D alla Serie C nel 1963/64), Salernitana e Pontedera (ottenendo un’altra promozione dalla Serie D alla Serie C nel 1966/67). La Scafatese 1967/68, su suoi suggerimenti, era stata in gran parte rinnovata, in virtù degli acquisti del portiere Volk, dei difensori Casali e Cannavaro (padre di Fabio), dei centrocampisti Taddei, Canali e Venturelli e degli attaccanti Natali e Orlandi; sfumò, all’ultima ora, la cessione di Maresca alla Ternana, in Serie C. Dopo un avvio problematico, la squadra si riprese e, nonostante l’abbandono del Presidente Cretella (annunciato dopo l’ottava giornata), continuò a collezionare risultati utili (12 consecutivi), risalendo fino al terzo posto in classifica, facendo sperare e sognare i tifosi; questa posizione venne mantenuta fino al giro di boa (Savoia e Matera 28, Scafatese 23); alla diciannovesima giornata, contro la Puteolana, i canarini subirono una rete sul proprio campo dopo 835 minuti, e ciò a testimonianza dell’imperforabilità del pacchetto difensivo; Carapellese, infatti, impiegava come esterni De Falco (oppure Cannavaro) e Coluccia, posizionava come battitore libero Cinque e come stopper Casali; a centrocampo giostravano Riso, Venturelli e Guida, efficace anche in fase risolutiva, mentre in attacco Maresca, con 7 reti, risultò essere il miglior realizzatore della squadra.
Nel finale di stagione, i canarini accusarono qualche battuta a vuoto, per cui, alla fine, il piazzamento finale fu il sesto posto, con punti 40, a pari merito con la Puteolana. Il “Carapelle” restò solo un anno a Scafati, ma quell’anno, tra i nove disputati dalla Scafatese in Serie D negli anni sessanta, fu sicuramente uno dei più “scenografici” e spettacolari. Oggi il Bar Cirillo non c’è più, ma quando attraverso il Corso nazionale in direzione Piazza Vittorio Veneto e alzo gli occhi in alto, mi sembra sempre di vedere una bandiera gialloblè ondeggiare e sventolare al cielo, a indicare e a segnalare una vittoria della Scafatese
Guglielmo Formisano
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