
STADIO COMUNALE 28 SETTEMBRE, SCAFATI – TORNEO GUIDO ROMANO – 1973/1974
IN PIEDI, DA SINISTRA: 1 PASCALE, 2 MEGLIO, 3 AMBRUOSO ROBERTO, 4 ATTIANESE, 5 NACCHIA, 6 MORRA, 7 COPPOLA. ACCOSCIATI, DA SINISTRA: 8 AMBRUOSO RAFFAELE, 9 SARNO, 10 AMBRUOSO CAMILLO, 11 AMBRUOSO VINCENZO, 12 AMARO, 13 GRIMALDI, 14 PICARDI.
L’estate del 1973, per i campani appassionati di sport, fu per certi versi drammatica e per altri aspetti esaltante: un’epidemia di colera (forse causata dal consumo di cozze crude provenienti dalla Tunisia), infatti, colpì le aree costiere della regione; all’Ospedale Cotugno di Napoli vennero ricoverate quasi mille persone, con non pochi decessi; fortunatamente, già pochi giorni dopo l’inizio dell’emergenza, venne avviata la più grande operazione di profilassi del secondo dopoguerra che portò alla vaccinazione di circa un milione di napoletani in appena una settimana, grazie anche all’aiuto dell’impiego delle siringhe a pistola messe a disposizione dalla Sesta Flotta degli Stati Uniti. Dal punto di vista sportivo, invece, Felice Gimondi, che aveva debuttato tra i professionisti nel 1965 con la maglia della Salvarani (con la ‘’S’’ più grande, che ricordava quella di una casacca della Scafatese del Presidente Ugo Romano), si laureò Campione del Mondo a Barcellona, imponendosi in volata, allo sprint, su Freddy Maertens, Luis Ocana e “il cannibale” Eddy Merckx, in una sorta di rivincita contro il destino, insegnandoci a sfidare le apparenze e i limiti spazio-temporali.
A Scafati (le cui precedenti Elezioni amministrative del 7 giugno 1970 avevano consolidato l’egemonia della DC, con 7265 voti corrispondenti al 51,5% e 17 consiglieri, contro 4542 voti, 32,2% e 10 consiglieri del PCI, e il cui Sindaco era Vito Cavallaro, subentrato a Carlo Chirico il 24 settembre 1971), però, la gioia e il divertimento più veri e autentici consistevano nel tirare un calcio a un pallone e, mentre il Presidente Giovanni Chiavazzo aveva profuso grandi sforzi per centrare la vittoria nel Campionato di Promozione (poi vinto dal Nola davanti al Saviano e alla stessa Scafatese di Alfano, Pedone, Docile, Attianese, Arnese, Cinque, Esposito Salvatore, Schettino, Ciero, D’Ambruoso, Gallo), furono organizzati e disputati diversi tornei, dei quali il più blasonato e illustre intitolato a Guido Romano (figlio del Presidente della Scafatese Ugo, che era riuscito a portare a Scafati, in amichevole, squadroni come l’Inter e il Bologna), scomparso prematuramente in seguito a un incidente nel dicembre del 1962.
A inaugurare il torneo, padrino d’eccezione, fu, appunto, l’ex Presidente Ugo Romano: raggiunse la finale la Rappresentativa giovanile della Scafatese, in realtà, però, la squadra, come nella più classica “Intersezione della Teoria degli Insiemi”, era nata dalla fusione e dalla contaminazione tra varie Rappresentative locali, allo scopo di dare maggiore impulso e organicità strutturale al settore giovanile territoriale; la genesi di tale intuizione, la “Pazza idea” (canzone cult dell’epoca interpretata da Nicoletta Strambelli, in arte Patty Pravo, allora venticinquenne) era, senza alcun dubbio, da attribuire all’allenatore Viviano Coluccia, classe 1943, ex terzino della Scafatese dal 1965/66 al 1968/69, proveniente dal Livorno, che aveva giocato anche al fianco del padre di Fabio Cannavaro.
La squadra aveva una sua “essenza”, una sua specificità e una sua solidità e cavalcava la leggerezza interrogandosi sul senso del tempo e dell’amicizia, con sorprendente spirito di gruppo e grande empatia tra i componenti. Il portiere era Picardi, capace di parate plastiche ma dotato anche di senso del piazzamento; in difesa, Sarno terzino destro e Coppola terzino sinistro si prendevano cura delle ali avversarie; nel ruolo di stopper si alternavano Nacchia e Roberto Ambruoso, entrambi duri e arcigni nei contrasti; il libero, che raramente si sganciava, con domicilio tattico dietro lo stopper, era Grimaldi; nel triangolo di centrocampo giostravano Raffaele Ambruoso, mediano di cemento armato, che marcava il dieci avversario, Attianese, elmetto e fioretto, interno destro e Camillo Ambruoso, mancino straordinario e rifinitore elegantissimo, a sinistra; Vincenzo Ambruoso, estroso e pungente, e Mimmo Meglio, veloce e talentuoso, erano le ali; il punto di riferimento di quel tridente “stellare e interscambiabile”, il centro propulsivo di aggregazioni e confluenze multiple tra i reparti era Aniello Amaro (qualche anno dopo laureatosi in Ingegneria), un centravanti fisicamente più Boninsegna (realizzatore tenace e implacabile, con tiro secco e preciso, bravo a difendere la palla spalle alla porta, che aveva nella resilienza e nella capacità di opporsi ai traumi e alle difficoltà il suo marchio di fabbrica), tecnicamente e tatticamente più Anastasi (attaccante di manovra agile e guizzante, in grado di svariare e di smarcarsi su tutto il fronte offensivo dell’attacco con accelerazioni e scatti improvvisi).
Aniello si distingueva non solo per l’elevata qualità del palleggio, ma anche e soprattutto per la naturalezza con la quale invitava a rete i compagni di squadra, scegliendo la zolla giusta per l’assist anche da posizioni defilate. Nel 1973, nel cinema, “Amarcord” di Federico Fellini riuscì a conquistare l’Oscar; a quella squadra va assegnato l’Oscar per la sua capacità di aver lasciato un solco in grado di tramandare emozioni e per i suoi indimenticabili calciatori (esemplari per altruismo, impegno, generosità e coraggio), attori protagonisti del loro tempo più felice, come il timido sorriso di Gimondi (Felice) in cima al mondo a Barcellona.
Guglielmo Formisano