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Givova Scafati Basket, intervista ad Attilio Caja

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Coach Attilio Caja è arrivato a Scafati il 9 novembre scorso. Nato a Pavia il 20 maggio 1961, Caja è un allenatore di grande esperienza che si è sempre distinto per la sua profonda conoscenza del gioco e per le ottime capacità di gestione delle prestazioni di ogni singolo atleta. Gli abbiamo rivolto alcune domande dopo un allenamento al Palamangano.

Come nasce in Attilio Caja la passione per il basket?

Da adolescente, frequentando gli oratori a Pavia con un gruppo di amici  giocavamo sia a basket che a calcio. Crescendo ho cominciato a giocare a basket più seriamente nelle giovanili locali ma con il passare degli anni mi sono reso conto che non avevo grandi qualità (anche se ho giocato in serie C) e così ho frequentato il corso di istruttore. Sono arrivato a  fare l’assistente allenatore della Serie A e nel 1992 sono diventato il capo allenatore della squadra di A della mia città: Pavia. All’epoca ho allenato anche Oscar Schmidt, che da queste parti è ancora molto conosciuto. In quel periodo avevo anche un lavoro in Comune, sono stato cinque anni dipendente del Comune di Pavia e contemporaneamente allenavo, poi sono entrato nel giro delle nazionali giovanili e ho dovuto fare una scelta. Ho lasciato il posto in Comune per dedicarmi esclusivamente al basket.

E’ un po’ difficile ripercorrere oltre 30 anni di attività anno per anno però almeno citiamo due o tre esperienze magari quelle con dei successi ma anche alcune che hanno rappresentato una delusione.

Devo dire che fortunatamente i successi sono stati nettamente superiori alle delusioni e poi delusioni sono sempre nell’ambito sportivo, voglio dire che nel basket uno vince e supera un esame ma in realtà nella vita gli esami sono quelli che si fanno in ospedale. Certo le  sconfitte le vivo ancora  male nonostante abbia disputato più di 700 partite, al contrario nella settimana di preparazione mi diverto molto. Per ritornare alla domanda  ricordo positivamente i miei anni romani: nel 1994 esordisco a Roma in A1 come uno dei più giovani allenatori di Roma, dopo che su quella panchina si erano seduti allenatori del calibro di Valerio Bianchini, Pero Skansi, Dido Guerrieri eppure riesco a fare cinque anni bellissimi. In seguito sono stato ingaggiato da Pesaro e anche lì faccio  un anno e mezzo bellissimo con la conquista del terzo posto in classifica. Successivamente sono ritornato a Roma per altri due anni dove vinciamo anche la Supercoppa. Ecco, gli anni di Roma sono stati anni bellissimi e forse come dice quella famosa canzone di Renato Zero sono stati “i migliori anni della mia vita”.

Sì, ma la carriera di coach Caja non si conclude a Roma.

Vero, ricordo sempre con piacere gli anni fatti a Milano e a Varese ultimamente. Devo dire che faccio fatica a citare parentesi non positive della mia carriera. Forse l’unica parentesi negativa è stata quella di Udine dove dal primo giorno che sono arrivato non mi sono trovato bene.

Quali sono stati gli allenatori che hanno influito sulla sua crescita tecnica?

Mario Blasone è stato il mio primo maestro. Taurisano e Zorzi sono stati altri due allenatori che mi hanno dato molto.

Quanto è rimasto del passing game di Zorzi nel sistema di gioco di coach Caja?

Premesso che bisogna avere i giocatori adatti per farlo, direi che il gioco in transizione di Roma e quello ultimamente di Varese hanno qualcosa in comune con il passing game di Zorzi. Voglio dire con orgoglio che ho vinto il titolo di allenatore dell’anno a Roma nel 1996 e, dopo più di vent’anni, nel 2018 a Varese: ciò significa che se dopo vent’anni ho rivinto il premio di allenatore dell’anno vuol dire che sono rimasto al passo coi tempi.

Citi uno o più giocatori che l’hanno particolarmente colpita per le loro doti tecniche.

Tantissimi, non credo di poterli citare tutti, vado a memoria: Danilovic, Ginobili, Kukoc, Myers, Magnifico, Naumoski, Coldebella. Posso dire di essere stato fortunato per aver giocato contro o aver allenato tanti giocatori fortissimi.

Lei ormai è da un po’ di tempo qui a Scafati, come è stato l’impatto con la città e con il pubblico?

Al momento esco la mattina alle 08:30 dall’albergo e ritorno la sera alle 21.30 perché il resto della giornata lo trascorro al Palamangano a lavorare e quindi della città conosco solo la strada che porta dall’albergo al palazzetto. Per me si tratta di un impegno full time, dato che in pochi giorni abbiamo dovuto concentrare tutto il lavoro che in genere si fa nella preparazione pre campionato. Il pubblico è molto appassionato e spero che venga la domenica al Palamangano sempre più numeroso, anche per ricompensare i notevoli sforzi che la famiglia Longobardi sta facendo.

Grazie coach ed in bocca al lupo.

                                                                                                                           Piervincenzo Costabile

 

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