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Scafatese Calcio, anni ’70. “Bartlucc” Attianese: una vita da mediano!

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(In foto. Scafatese Calcio 1975/1976.
In piedi, da sinistra: Gigli, Terreri, Lambiase, Carotenuto, Alfano, Ferrara, Bottaro, D’Elia.
Seduti, da sinistra: Santosuosso, Vietri, Pedone, Nazzi, Attianese, Falcone).

A cura di Guglielmo Formisano

Ci sono giocatori che ti restano per sempre nella memoria. Più di altri. Più degli altri. Per un gesto, un movimento, un’azione, un’idea. E’ questo il caso di Bartolomeo Attianese, per gli amici “Bartlucc”. Attianese esordì nella Scafatese nel lontano Campionato di Promozione (Quinta serie) 1972/1973 con la sua prima, decisiva, rete, realizzata contro la Giac Boschese, alla giornata 6, al minuto 73, che consentì alla Scafatese di iniziare un lungo duello con l’Angri di Tramontano e Maltempo, purtroppo conclusosi con la conquista della Serie D da parte dei grigiorossi. Il suo campionato più bello fu senza dubbio quello del 1975/1976, nella famosa squadra del Presidente Giovanni Chiavazzo, di Gaetano Bottaro, di Rocco Rega, della saracinesca Enrico Alfano, che raggiunse la Serie D, e che lo vide protagonista nel ruolo di “mediano di spinta”, con 27 presenze.

“Una vita da mediano,  a recuperar palloni, nato senza piedi buoni, lavorare coi polmoni” recita una famosa canzone di Ligabue; Attianese, che nella foto mostra baffetti alla Mazzola e un ciuffo alla Little Tony, era uno che correva tanto, ma era dotato anche di una discreta tecnica individuale, un coktail tra  l’aggressività di Romeo Benetti  e lo stile di Lele Oriali, e per questo Mister Tascone lo alternava spesso  a Falcone nella scacchiera del centrocampo di quella squadra mitica, al fianco di Giovanni D’Elia e di Michele Santosuosso. Se vogliamo, in quell’etichetta “mediano di spinta”, è racchiuso tutto il modo di essere calciatore di Bartolomeo Attianese, un instancabile e poderoso cursore di metà campo, che dava spinta ai compagni di squadra, anche e soprattutto psicologica, nei momenti difficili, e li affiancava, li proteggeva, li incitava, li spronava, con una generosità più unica che rara; non disdegnava nemmeno le conclusioni di potenza tanto che, nell’attuale almanacco della Scafatese (che comprende, a partire dal dopoguerra, 1160 calciatori), occupa la posizione numero 41, con un totale di 91 presenze, di cui anche 6 in Serie D 1976/1977, e 7 reti.

Ma il momento che a me è rimasto impresso è un altro, è un singolo episodio. Correva l’anno 1973, l’anno in cui Novella Calligaris si laureò, a Belgrado, campionessa mondiale degli 800 stile libero, l’anno del golpe di Pinochet in Cile, l’anno in cui Enrico Berlinguer lanciò la proposta del compromesso storico, l’anno in cui Mike Bongiorno e Gabriella Farinon dichiararono vincitore del Festival di Sanremo Peppino di Capri, con la canzone “Io e te, un grande amore e niente più”, davanti a Peppino Gagliardi (“Come un ragazzino”) e a Milva (“Da troppo tempo”); io avevo undici anni, l’età in cui tutto ti sembra possibile, in cui tutti i sogni sembrano potersi realizzare: era un mercoledì del dicembre 1973, e i giallobleu, nella Coppa Italia Dilettanti, dopo aver superato il primo turno (con una doppia vittoria sul Lacco Ameno, 2-1 al Comunale e 1-0 in trasferta) si accingevano a disputare il ritorno dei sessantaquattresimi di finale, Scafatese-Grumese (andata 2-0 per la Grumese). Il clima era grigio e cupo, con una pioggia insistente e ininterrotta a rendere il campo di gioco, in terra battuta, quasi impraticabile; in quell’atmosfera, un po’ alla “Blade Runner”, un po’ alla “Mastino dei Baskerville”, la Scafatese, dopo i regolamentari, era riuscita, con un sofferto ma netto 2-0, ad agguantare i supplementari e poi i rigori. Dopo i primi otto tiri, la situazione era ancora in perfetta parità, sul filo del rasoio (4-4); al quinto rigore, gli ospiti della Grumese fallirono la realizzazione. A questo punto toccava a lui, a Bartolomeo Attianese. “Bartlucc”, mentre si avviava lentamente dal centrocampo all’area di rigore, si girò a guardare il Presidente Chiavazzo, che gli fece un cenno con le due mani, indicando il numero dieci con le dita; intendeva dire: “Se segni, ti regalo diecimila lire”. Attianese posizionò il pallone sul dischetto, guardò il portiere in segno di sfida, prese una breve ma decisa rincorsa e, intuendone lo spostamento, calciò di piatto e, con precisione, posizionò la palla nell’angolino opposto, spiazzando l’estremo difensore.

Non ricordo, nella storia della Scafatese, tranne la partita con il Giugliano, una situazione più emozionante di quella (partita disputata al San Paolo di Napoli il 6 giugno 1976, finale di Coppa Campania di Promozione, finita 2-2 e conclusasi, dopo i supplementari e i calci di rigore, con un salomonico verdetto di parità). Attianese, tra l’entusiasmo generale, si avviò verso il Presidente ma, quando questi gli stava porgendo il meritato premio-partita, lo rifiutò, manifestando un no con il movimento dell’indice destro. Poi, mentre un improvviso quanto timido raggio di sole si apriva un varco tra due nuvole indifferenti, si diresse verso la tribuna, arrotolò la maglia verso l’alto e la baciò, come a voler dire “L’ho fatto per la maglia e per i tifosi” (Come un ragazzino, Io e voi, un grande amore e niente più, Da troppo tempo). A titolo di cronaca, i canarini superarono, in seguito, anche i trentaduesimi di finale, sconfiggendo il Vittoria Ragusa 2-0 e perdendo 1-0 in Sicilia, ma furono fermati ai sedicesimi dal Montesilvano, dopo il pareggio casalingo per 1-1 e la sconfitta fuori per 3-1. Quando ho saputo della sua scomparsa, per un attimo si è fermato il tempo, per un istante sono tornato a quel momento, a quelle sue poderose, incoraggianti, inimitabili falcate a tutto campo.

Ci sono calciatori che ti restano per sempre nel cuore. Più di altri. Più degli altri.
Per un gesto, un movimento, un’azione, un’intuizione.

A cura di Guglielmo Formisano

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